martedì, settembre 19, 2006

Benigni Vs Benito Mussolini

Video divertente

lunedì, settembre 18, 2006

CARCERE




CARCERE: CORLEONE; ANCHE I DETENUTI NAVIGHERANNO SU INTERNET

(ANSA) - MILANO, 6 OTT - Anche i detenuti in futuro potrebbero utilizzare Internet navigando tra un sito e l'altro pur garantendo un elemento fondamentale: la sicurezza. Lo ha annunciato oggi a Milano il sottosegretario alla giustizia, Franco Corleone, alla presentazione del sito Internet di San Vittore. Il sito, 'il due', e' lo specchio di 'Magazine 2', quadrimestrale edito da 5 anni a San Vittore. ''Con il nuovo regolamento e' previsto che i detenuti possano avere in cella il computer - ha spiegato- Il dipartimento sta ora studiando la possibilita' di consentire anche l'accesso ad Internet, ma e' chiaro che occorreranno una serie di filtri per garantire i problemi di sicurezza''. In particolare dovra' essere preso in considerazione soprattutto l'uso della posta elettronica. Parlando inoltre delle strutture carcerarie Corleone ha ricordato i 300 miliardi di lire a disposizione per gli interventi. ''Ci sono edifici come quello di Savona e di Favignana che devono solo essere abbattuti per costruirne di nuovi - ha detto - ma altri, come San Vittore, devono invece essere ristrutturati''.(ANSA).
Naturalmente lavorando in carcere non posso che plaudire a questa Ansa!!! Poi ho pubblicato questa a pretesto per postare qualche scatto sul carcere.

domenica, settembre 17, 2006

Benigni


Benigni è un toscanaccio come me, è un pagliaccio e come i pagliacci è allegro, ma è anche triste, sapete di quei pagliacci con la lacrima. Adoro di lui la capacità di parlare di cose giganti con lieve leggerezza.
Metto due cose sue uno è "l'inno del corpo sciolto" un po un grido di rivolta
L'altra una bellissima canzone "quanto ti ho amato" presentata al festival di Sanremo nel 2002.

Per la canzone dovrei farci una dedica ma qui non posso....sono riservato io!!!!

L'inno del corpo sciolto

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Quanto ti ho amato

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Grazie Alda Merini


Io adoro Alda Merini non lo so sarà il fatto che la gente, le istituzioni, l'hanno chiusa in manicomio per molto tempo, e lei ha saputo tirare fuori il suo amore e il suo dolore con poesie meravigliose.
Io la voglio omaggiare con una breve intervista pubblicata su di un blog e con alcune audio poesie tra cui un brano di Milva e Alda che suona il piano "jonny guitar"
Grazie Alda per il tuo amore!!!!!





La sua anima di poetessa Alda Merini la mostra sempe nei versi, che compone come se le iscissero direttamente dalle viscere. Ora, incvece, fa parlare il corpo. O meglio, i suoi volti, immortalati dall'amico fotografo giuliano Grittini e riuniti nel libro Colpe d'immagini ( rizzoli€ 25) e la sua vita scorre, ritratto dopo ritratto.
Che cosa racconta Alda Merini nelle fotografie?
La mia faccia, che non è tutto, ma almeno è il minore dei mali. Ed è singolare, visto che appartiene a una sola persona: a me.
Di fronte a un obiettivo si mette subito in posa, si diverte.
Sono una donna dal clic facile
Ma lei quando si piace di più?
Al mattino, quando ho ancora in bocca il sapore della realtà che sento più vera: quella del sogno. Io sogno tantissimo, e mentre dormo non facio che giocare, sono serena e beata come una bambina. Quando riapro gli occhi, e non sono ancoa sveglia del tutto, do il meglio di me. E' il momento più creativo, quello migliore per comporre mentalmente poesie, perché sono appena tornata dal Paradiso.
Grittini le ha anche scattato foto che hanno fatto molto discutere, in cui lei posa nuda.
Sono stata io a volerlo. Mi fa sorridere il moralismo della gente, non lo tirano fuori per il nudo in sé, ormai ovunque, ma per quello non perfetto. E' l'imperfezione a scandalizzare, come fosse una colpa. Il mio è stato un gesto di provocazione, e anche di profondo dolore: in manicomio ci spogliavano come fossimo cose. Mi sento nuda ancora adesso.
A quale dei suoi tanti volti non rinuncerebbe?
Vorrei dirle quello romantico, il mio più autentico. Ma d'amore si muore, soprattutto alla mia età.
http://www.aldamerini.com/

Milva e Alda merini "Jonny Guitar"

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I fogli bianchi sono la dismisura dell'anima

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Io non posso

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L'albatros Alda Merini Poesia cantata da Milva

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sabato, settembre 16, 2006

Pinocchio tra fiaba e psicoanalisi

Pinocchio primo tempo

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Pinocchio secondo tempo

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Qui di seguito pubblico un edizione audio di Pinocchio recitato da Carmelo Bene.
L'edizione è molto bella e rara.
Al piede del post ho messo un lunghissimo articolo di Iakov Levi tratto da "Scienza e Psicoanalisi" è lunghissimo è vero ma a chi come me adora la "Favola" di Pinocchio avrà la pazienza di leggerlo. Si tratta di un analisi pscicologica della fiba. Iteressantissima vi consiglio di dargli una lettura magari mentre ascoltate Carmelo Bene......Grazie Andy
Carlo Lorenzini nacque a Firenze il 24 novembre 1826, da modesta famiglia. Compiuti gli studi presso un seminario, e dopo aver iniziato a collaborare a qualche giornale fiorentino, partecipò volontario alla campagna del '48. Fondò, quindi, un giornale di satira politica ``Il Lampione'', che ebbe grande fortuna ma che fu soppresso dopo la restaurazione del '49 e sostituito da un altro ``La Scaramuccia'', e che riprese le pubblicazioni solo nel '60, al ritorno del suo fondatore dalla nuova campagna di guerra interrotta dalla pace di Villafranca.
In tutti quegli anni, il Lorenzini aveva collaborato a molti giornali, scritto romanzi e drammi teatrali, e assunto lo pseudonimo di Collodi, dal nome del borgo natìo di sua madre. E continuò a scrivere anche quando, dopo il '60, si impiegò presso la censura teatrale e poi alla prefettura di Firenze.
Non molto notevoli sono, in verità, i suoi scritti fino al 1875, e comunque non al disopra di una diligente mediocrità. In quell'anno, però, tradusse per un editore fiorentino le fiabe del Perrault, e fu certo quell'avvicinamento che gli suggerì di dedicarsi alla letteratura per l'infanzia, e gli fece scrivere parecchi fortunatissimi volumi: Giannettino, del 1876, Minuzzolo, del 1878, e via via Il viaggio per l'ltalia di Giannettino, La geografia di Giannettino, La grammatica di Giannettino, ecc. Ma son tutti libri che, pur felici, specie nella creazione dei personaggi principali, ragazzi veri e non viete figure di decalcomania, si fondano sulla superata pedagogia dell'epoca di offrire un cumulo di cognizioni attraverso la troppo scoperta finzione di un racconto spigliato.
In mezzo a tanto lavoro (eppure, il Collodi è passato per un pigro e uno scansafatiche) nacque, tuttavia, il miracolo del Pinocchio.
Altri libri scrisse in seguito il Collodi: Occhi e nasi (1881), Storie allegre (1887), Note gaie (1892) e Divagazioni critico-umoristiche (1892). Gli ultimi due furono pubblicati postumi, poiché la morte lo colse a Firenze improvvisamente, il 26 ottobre 1890, mentre stava preparando la trama di un altro romanzo per ragazzi.
Le avventure di Pinocchio, storia di un burattino è uno dei quattro o cinque capolavori della letteratura universale per l'infanzia, ed è il capolavoro incontestato di quella italiana. Pubblicato a puntate a partire dal 7 Luglio del 1881 sul ``Giornale per i bambini'' di Ferdinando Martini, col semplice titolo Storia di un burattino e con illustrazioni di un anonimo, apparve in volume nel 1883, presso l'editore Felice Paggi di Firenze, illustrato da Enrico Mazzanti. Il numero di edizioni, ristampe e traduzioni (oltre duecento, queste ultime, sparse in tutto il mondo) pubblicate dal 1883 a oggi è davvero incalcolabile.
Enrico Mazzanti, che fu, come già detto, l'illustratore della prima edizione in volume di Pinocchio, nacque a Firenze il 5 aprile 1850. Nonostante la laurea in ingegneria, egli preferì seguire la naturale inclinazione per ll disegno illustrando dapprima opere scientifiche, poi letterarie e didattiche, e specializzandosi in tale attività così da dedicarvisi, in seguito, esclusivamente. Fu illustratore delle principali case editrici italiane, quali Le Monnier, Paravia, Hoepli e Bemporad. Morì a Firenze il 3 settembre 1910.
Carmelo Bene proviene dall'Accademia d'Arte Drammatica, che frequenta però per un solo anno. L'esperienza (ben delineata nella sua unica biografia-intervista) è devastante (forse anche per i docenti dell'Accademia): gli schemi non possono contenere la crisalide della farfalla-Bene. Sono anni in cui Bene, a Roma, assorbe come una spugna e rielabora tutto ciò che vede e sente. Debutta in teatro con Caligola di Albert Camus nel 1959.
Dopo questa esperienza Bene diventa regista di sé stesso: viene ricordato per la sua innovazione del linguaggio teatrale, per lo stile ricercato, quasi barocco, per la sua maestria da interprete e per aver "massacrato" i classici.
Da molti viene considerato un affabulante ingannatore o un presuntuoso "massacratore" dei grandi testi; per altri Bene è stato uno dei più grandi attori del '900, e questo suo "variare" era un modo per andare contro corrente. La sua lotta era rivolta al dilagante naturalismo che, nell'arte in genere e soprattutto in teatro, si espanderà attraverso la drammaturgia borghese. Il suo era non solo uno schierarsi contro le classiche visioni del teatro e della drammaturgia, ma attraverso il suo genio egli rivendicava l'arte attoriale innalzando l'attore da mera maestranza (così definita da Silvio D'Amico) ad artista. Per Carmelo Bene il testo, poiché nato dalla penna di uno scrittore spesso avulso dal problema del linguaggio scenico, non può essere interpretato: esso deve necessariamente essere creato, o meglio ri-creato dall'attore.
Impossibile dimenticare le sue versioni di Amleto: mai nessuno aveva interpretato il testo di Shakespeare in quel modo. Amleto/Bene recitava le parti più importanti della pièce senza alcuna importanza, o addirittura, come nel caso dell' "essere o non essere", la recita era rimandata ad un altro attore, che gli faceva da alter ego.
Bene si contrappone al teatro del suo tempo (Teatro di Contraddizione). Verrà definito Attore Artifex, cioè attore artefice di tutto, quella che era la visone del <>. Ma Bene si definì con un neologismo degno di lui stesso come una potente e poderosa MACCHINA ATTORIALE: creatore e creato al tempo stesso, autore, regista, attore, scenografo, costumista...
Bene prenderà molto da Denis Diderot, Bertolt Brecht, Oscar Wilde, Antonin Artaud, Franz Kafka, Vladimir Majakovskij, Giacomo Leopardi, Buster Keaton e Pier Paolo Pasolini, il quale lo vorrà con lui nel suo film Edipo Re. Qui si aprì una breve parentesi cinematografica per Bene, che durò fino al 1973, con Un Amleto di meno. Continuò prolifica invece la sua vita in teatro.
Il 16 marzo del 2002 Carmelo Bene muore a Roma. Il suo funerale non fu pubblico, come egli stesso voleva. Gli ultimi momenti della vita terrena sono contenuti in una rappresentazione post-mortem, un cenotafio elettronico nelle pagine della fondazione.
Affida i diritti delle sue opere alla fondazione L'Immemoriale di Carmelo Bene [1], a cui partecipa statutariamente anche il presidente della regione Puglia. Bene lascia un'immensa opera costituita da riprese dei suoi capolavori teatrali e dei suoi film, oltre a tutta l'opera letteraria (che comprende anche i testi dei suoi spettacoli) raccolta nel volume Opere (classici Bompiani). La divulgazione del suo lavoro ha influenzato molti artisti italiani e stranieri.

http://www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/osservatorio/articoli/osserva20.htm


venerdì, settembre 15, 2006

Serghei Prokofiev


Voglio farvi un regalo, "Pierino e il Lupo" una favola musicale, in questa veste inedita perchè la voce narrante è Dario Fo.


Serghei Prokofiev, nato a Sontsovka nel 1891, è uno dei più grandi compositori russi del Novecento.

Dopo aver studiato al Conservatorio di Pietroburgo, nel 1918 inizia a viaggiare, tra Europa e Stati Uniti entrando in contatto con personalità come Diaghilev, Stravinskij e musicisti appartenenti a correnti d'avanguardia inclini al politonalismo (Honegger, Milhaud, Auric, Roussel etc.) e all'espressionismo in voga in quegli anni.

Nel 1923 torna in Russia per partecipare attivamente al processo di trasformazione sociale e culturale del suo paese, ma viene accusato di formalismo dal miope apparato burocratico sovietico di Stalin e, per forza di cose, nei dieci anni che rimase nell'Unione Sovietica, il senso estetico di Prokofiev si affievolì, da posizioni d'avanguardia ad un andamento melodico più vicino ai desiderata dell'intellighenzia politica del momento.

Considerato come uno dei massimi musicisti del secolo scorso, Prokofiev vanta una prodigiosa tecnica compositiva progressivamente elaborata sui modelli proposti da Liszt, Ciaikovskij, Stravinskij, Ravel, Debussy e Honegger mantenendo una originalissima vena ironica, sarcastica e persino grottesca propria di una eclettica personalità artistica.

Di Prokofiev ricordiamo i 5 concerti e le 8 Sonate, l'avveniristica Suite Scita (1916) l'ossessiva "Seconda", "Terza" e "Quarta Sinfonia" e le colonne sonore per i film "Alexander Nevskij" e "Ivan il Terribile" del famoso regista del muto Eisenstein.

Prokofiev morì a Mosca nel 1953


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Jacques Prevert nasce a Neuilly-sur-Seine nel 1900 ed in Bretagna trascorre diversi anni della sua infanzia. Giovanissimo conosce André Breton, Raymond Queneau e i surrealisti ed entra a far parte di questo gruppo; interessato dall'arte populista.Negli anni tra il 1932 ed il 1937 si dedica attivamente al teatro, e scrive testi messi in scena dal "Groupe Octobre", una compagnia teatrale di sinistra. Lavora anche nel cinema e nel mondo della musica; i testi delle sue prime canzoni, musicate da Joseph Kosma, verranno interpretate da cantanti famosi come Julette Grèco e Yves Montand. Nel 1938 si trova ad Hollywood per continuare la sua attività nel campo cinematografico. Scrive il soggetto per un film di M. Carnè, il celebre 'Porto delle nebbie, interpretato da J. Gabin. Gli anni dal 1939 al '44 sono caratterizzati da una discreta attività cinematografica, ma nel 1945 riprende l'attività teatrale con la rappresentazione di un balletto cui collabora anche P. Picasso. E' del 1945 la celebre raccolta di poesia 'Parole'. Nel 1947 sposa Janine Tricotet, da cui aveva avuto una figlia, Michèle. Tra il 1951 ed il 1955 escono altre sue raccolte e nel 1955 è pubblicata 'La pioggia e il bel tempo' In quegli anni comincia a dedicarsi ad un'altra attività artistica, quella dei collages, che due anni dopo esporrà alla galleria Maeght e scrive due saggi: 'L'univers de Klee' e 'Joan Mirò'. Nel 1963 pubblica 'Histories et d'autres histories' e nel 1972 esce la raccolta 'Choses et autres' seguita, nel 1976, da 'Arbres'. Morirà a Parigi l'11 aprile 1977 stroncato da un cancro al polmone.

giovedì, settembre 14, 2006

Primo Levi "se questo è un uomo" Part.III


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Parte IV

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Parte V

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Parte VI

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Primo Levi "se questo è un uomo" Part.II


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Primo Levi "se questo è un uomo"

«Quando non si riesce a dimenticare, si prova a perdonare»

Scritto da Primo Levi fra il dicembre del 1945 e il gennaio del 1947, dopo il suo ritorno dal campo di concentramento di Auschwitz, dove l’autore era stato rinchiuso dalla fine del 1943 e pubblicato per la prima volta nel 1947, Se questo è un uomo non ottenne un successo immediato. Nel 1956 la casa editrice Einaudi, la stessa che ne aveva rifiutato la pubblicazione nove anni prima, lo accolse fra i "Saggi". Da allora Se questo è un uomo é divenuto un successo editoriale pubblicato e ristampato in tutto il mondo.

Nel libro viene descritto il periodo di prigionia compreso fra due terribili inverni nord europei, inverni durante i quali il narratore vede numerosi suoi compagni morire di stenti a causa delle proibitive condizioni ambientali, del precario stato igienico-sanitario del campo, del lavoro massacrante. Levi si trova dinnanzi a un sistema, il lager, organizzato e finalizzato all’annientamento della dignità umana. Dentro questo folle progetto di distruzione, l’uomo non riesce più a provare pietà, non conosce più l’amicizia, la ribellione, la speranza: si cura solo, assurdamente, di non morire e per questo lotta; combatte per mantenere in piedi quel mucchietto di ossa, senza altro scopo che non sia quello di aggiungere sofferenza alla propria condizione.
In una pagina straordinaria, eppure terribile, che sembra quasi voler ammonire il lettore, Levi narra la pubblica esecuzione di un prigioniero responsabile di una tentata ribellione; rientrato nella baracca l’uomo non riesce a guardare in faccia il suo compagno: «Quell’uomo doveva essere duro, doveva essere di un altro metallo del nostro, se questa condizione, da cui noi siamo rotti, non ha potuto piegarlo. Perché anche noi siamo stati rotti, vinti: anche se abbiamo saputo adattarci, anche se abbiamo finalmente imparato a trovare il nostro cibo e reggere alla fatica e al freddo, anche se ritorneremo. Abbiamo issato la menaschka sulla cuccetta, abbiamo fatto la ripartizione, abbiamo soddisfatto la rabbia quotidiana della fame, e ora ci opprime la vergogna». I più fortunati riescono a migliorare le proprie condizioni, i più deboli cadono sempre più in basso: ma che giovamento traggono i primi dal sopravvivere sulle spalle dei secondi, che vita sorge dallo spettacolo quotidiano dell’annientamento dei propri simili?
In una sua poesia del 1946, Il tramonto di Fossoli, Primo Levi si esprime in questi termini: «Io so cosa vuol dire non tornare, / e attraverso il filo spinato / ho visto il sole scendere e morire, / ho sentito lacerarmi la carne / le parole del vecchio profeta…». "Sapere”, dunque, per lo scrittore coincide con il vedere e con il sentire, con il vedere pensieri di morte e con il sentire nella propria carne le parole. Per chi non ha provato questa esperienza sulla propria pelle non è possibile comprendere: ci si può fermare ad una più pacata intuizione, allo sdegno, alla commiserazione, ma il sapere è un’altra cosa, inesplicabile, puramente fisica.
“Sapere” è vedere dinanzi a sé un uomo che tenta di ridurre la tua vita a una condizione bestiale; eppure, chi compie tale azione è un uomo, non una incarnazione della malvagità, non un demone, perché questi sono prodotti della fantasia e come tali sono ancora comprensibili. L’uomo invece, forse l’ammonimento fondamentale che si può trarre dal romanzo di Levi, non lo è.
Non si può comprendere il lager, si possono piuttosto cercare di capire le cause che hanno portato alla sua creazione, tentare di spiegare i comportamenti del popolo tedesco e del popolo ebreo. Molto più difficile diventa conoscere in maniera profonda e intima chi in esso è stato rinchiuso, chi una volta libero ha sentito in sé risvegliarsi la coscienza e ha capito cosa significa esserne privati, chi dinanzi alla libertà finalmente conquistata ha sentito l’inerzia trattenerlo e ha lottato contro quest’altro nemico invisibile, subdolo, cercando di raffigurarlo per allontanarlo da sé, ma sentendolo inafferrabile, lontano da ogni uomo ma non tanto da non sentire il bisogno di metterli in guardia.
Se questo è un uomo nasce dunque dall’uomo, ma non è un’opera della sua fantasia, non può essere recepito come tale; scrivere queste pagine è costato sofferenza e, in qualche modo, lo scrittore pretende da noi uno sforzo analogo, disumano: cancellarci come lettori, sentire dentro noi quella stessa sofferenza fisica, fatta di ore, giorni e anni, sentire sotto le nostre scarpe pesanti e lacerate l’onnipresente pantano o, almeno, tentare di immaginare che qualcuno quelle sofferenze le ha provate veramente.
Se “comprendere” per Levi coincide con l’ ”immedesimarsi”, questo non implica la necessità di un supporto, la nostra fantasia, sulla quale fare rivivere le esperienze narrate nel testo? Ma così facendo non si rischia di entrare in un circolo vizioso, ovvero fare ricadere nelle categorie conosciute ciò che in realtà non comprendiamo, né conosciamo direttamente? Si prenda ad esempio la descrizione degli ultimi dieci giorni di vita nel campo: essa sembra prendere a modello una rappresentazione dell’Inferno in cui uomini malati vagano strisciando come vermi in mezzo a cadaveri e sterco; gelati, nudi e affamati, non sembrano più persone ma larve alla ricerca di un po’ di calore, esseri apparentemente fuori da questo mondo… E invece no: si tratta di esseri di questo mondo, i quali hanno solcato proprio questa terra, ricoperta da quei cadaveri che, un tempo, sono stati uomini sani e reali. L’inferno è una creazione umana.
Siamo ben lontani dall’ideale tardo-romantico, per la verità e significativamente più narrato che vissuto, della conoscenza che si raggiunge tramite la sofferenza fisica, e da quello eremitico delle pene corporali, dei digiuni, delle notti insonni come strumento in grado di avvicinarci al divino, dall’esigenza insomma di ottundere le proprie menti per semplificarne gli orizzonti, per ricadere in un discorso ancora una volta a suo modo estetico, culturale e rituale ed in definitiva umano. Il lager è diverso: la stessa lotta per la vita all’interno di esso non può essere valutata sociologicamente, come se tutto fosse stato un gigantesco esperimento, poiché all’interno del lager non vi è speranza di uscita, e un uomo senza speranza non lotta per continuare a sopravvivere. Forse la paura è il motore primo dei comportamenti, ma come ammetterlo? E allora bisogna forse abbandonarsi alla lettura e fingere di leggere di esperienze ormai lontane nello spazio e nel tempo dimenticando ciò che lo stesso Levi diceva: «È accaduto, può accadere di nuovo»?
Se questo è un uomo è un libro rigorosamente semplice e asciutto nella scrittura, senza domande, ma colmo di riflessioni in grado di sollecitare costantemente il lettore. Proprio qui sta la sua potenza espressiva, integra e attuale malgrado tanti anni dalla sua pubblicazione: nel suo presentarsi ai nostri occhi come un libro impossibile, impossibile da scrivere e da riscrivere; un romanzo che, trattando di genocidio, sa portarci in contatto con i misteri più insondabili e raccapriccianti insiti nella natura umana.

A cura della Redazione Virtuale di «ItaliaLibri»
Ho deciso di pubblicare un audio libro tra i più belli che conosco intanto ve ne regalo tre parti....piano piano, visto che è lungo aggiungerò gli alri. Buon Ascolto!!!
Ps. L'audio libro proviene dagli archivi di RadioRai GRAZIE!!!!


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lunedì, settembre 11, 2006

Nato a Porto Empedocle (Agrigento) nel 1925 , Andrea Camilleri vive da anni a Roma. Regista, autore teatrale e televisivo,ha scritto saggi sullo spettacolo. Sin dal '49 lavora come regista e sceneggiatore; in queste vesti ha legato il suo nome alle piu' note produzioni poliziesche della tv italiana: quelle che avevano come protagonisti il tenente Sheridan e il commissario Maigret. Col passare degli anni ha affiancato a questa attivita' quella di scrittore; e' stato autore infatti di importanti romanzi di ambientazione siciliana nati dai suoi personali studi sulla storia dell'isola. Il grande successo e' poi arrivato con l'invenzione del Commissario Montalbano, protagonista di romanzi che non abbandonano mai le ambientazioni e le atmosfere siciliane e che non fanno alcuna concessione a motivazioni commerciali o a uno stile di piu' facile lettura.
Vi regalo un racconto Il compagno di viaggio letto da Camilleri


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Non sono credente...sono profondamente ateo, anche se poi mi ricordo una cosa che mi disse un mio amico prete... "sai secondo me gli atei sono molto più credenti di quelli che credono al dogma perchè gli atei si pongono domande, si interrogano sui perchè" Io ci credo a questo, non nel senso che credo in un Dio ma piuttosto che sono alla ricerca dei perchè.
E a questo proposito mi va di pubblicare un "Padre Nostro" scritto da un ateo eccellente come Pierpaolo Pasolini e recitato dall'indimenticabile voce di Gassman.

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Cari utenti web sono tornato!!!! Ho visto che in segreteria non ci sono messaggi! Non vi sono mai mancato eh? Paziensa si vede che non avevate bisogno di me e dovevate fare di meglio...

Io siccome ho bisogno di rilassarmi ho trovato questo audio che dovrebbe aiutare, non l'ho ancara provato (sarà per questo che sono una pila?) Boh? se qualcuno di voi lo prova e funziona mi raccomando me lo faccia sapere che io ne faccio scorta!!!! Meglio questi che il Tavor!!!! Date retta a me!!

Andy

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venerdì, settembre 08, 2006

Segreteria telefonica

Per tre giorni non ci sono in questo blog...vi lascio la mia segreteria telefonica...se non resistete a non sentirmi lasciate un messaggio a lei

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giovedì, settembre 07, 2006

Baudelaire " A una passante"


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...una bella canzone di B-Leo Ferre con le parole della Poesia di Baudelaire
A UNA PASSANTE
Di CHARLES BAUDELAIRE



Ero per strada, in mezzo al suo clamore,
esile e alta, in lutto, maestà di dolore,
una donna è passata. Con un gesto sovrano
l'orlo della sua veste sollevò con la mano.

Era agile e fiera, le sue gambe eran quelle
d'una scultura antica. Istupidito
bevevo nei suoi occhi vividi di tempesta
la dolcezza che incanta e il piacere che uccide.

Un lampo ... e poi il buio ! - Bellezza fuggitiva
che con un solo sguardo mi hai chiamato da morte,
non ti vedrò più dunque che al di là della vita,

che altrove, là, lontano - E tardi e forse mai ?
Tu ignori dove vado, io dove sei sparita;
So che t'avrei amata, e so che tu lo sai !

Artista doppio e cosciente della propria “doppiezza” di fondo –
versante tenebroso, tentazione al satanismo e alla distruzione;
versante luminoso, aspirazione all’ideale, a Dio, alla creazione,
duplici aspetti che riescono a coabitare soltanto nella sofferenza,
nella passione, nella noia e nell’ odio -, Baudelaire non si è
accontentato di essere un poeta in preda ai gemiti. Se - in quanto
romantico autentico - non ha parlato che di se stesso in tutto
ciò che ha scritto, ha cercato anche lucidamente di padroneggia-
re i poteri dell’arte, che il suo sguardo acuto di critico militante è
riuscito a cogliere più di ogni altro.

"Amore e Se tu mi dimentichi" Pablo Neruda


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Stasera m'è preso così mi va di pubblicare due poesie di uno dei poeti che amo di più

mercoledì, settembre 06, 2006

Appunti cittadini


Gli scatti che seguono, come quello a sinistra sono "appunti cittadini" ne con lode ne con infamia, il semplice scattare un ricordo, un breve passaggio in una delle tante città di cui il nome non ha importanza.

Appunti cittadini



Appunti cittadini


lunedì, settembre 04, 2006

Salsa di vita

Volume d'umori quotati
da cieli a bassa quota
d'un filo invisibile,
ruvido alla vista e scivoloso di luce.
Passi e rilassi,
vita.
Passi a ingranaggi e,
come donna,
non perdoni.
Ami.

Questa è una poesia che ha scritto un mio amico, Paolo, ispirandosi alle foto delle cascate delle Marmore, mi fa molto piacere farvela leggere. Io penso sia una bella poesia e mi viene voglia di incoraggiarlo!!!

Bravo Conte!!!! Grazie!