lunedì, gennaio 24, 2011

Ennio Furiesi detto "Pizzi"


Nato a Volterra (PI) nel 1937, dove ancora risiede e svolge la sua attività artistica, nelle stanze dello studio d’arte allestito presso gli ambienti del ‘Chiarugi’, un tempo reparto dell’ospedale psichiatrico di Volterra (PI) e successivamente riformatorio giovanile, ora struttura in gran parte abbandonata e dalle suggestioni visionarie da terzo millennio, Ennio Furiesi, dopo il conseguimento del Diploma presso l’Istituto d’Arte della città ed un periodo di dedizione all’artigianato di alto pregio e di antichissima tradizione e all’insegnamento, riprende un rapporto personalissimo e continuativo con la pittura. Su tele e pannelli, o sulle reminiscenze di senso rappresentate da neo-lavagne didattiche o consolle da camera, fino alle acqueforti ed opere grafiche, si delinea la storia infinita ed autonoma di un “segno”, sconosciuto e anonimo, familiare e sempre esistito, reiterato e ritmico nelle cadute libere sugli ampi supporti, nella rappresentazione immediata di un incontaminato e autonomo spazio espressivo mentale.

In un dialogo sofferto fra luminosità atemporale e apparizione segnica di senso si delinea, come in un’autorivelazione cosmica e visionaria, la narrazione della metamorfosi continua di una gestualità che lascia tracce in autonomia, fra precipitati mnestici di culture remote o in soluzioni formali più ragionate, in geometrizzanti sintesi e forme in bianco e nero, che parlano alla modernità ed al contemporaneo.

Una ricerca incessante che si muove sui due assi essenziali della “pioggia di schegge” in metamorfosi continua fra astrazione e figurazione, o nelle opere più modulari e ‘blind’ rispetto alla frantumazione segnica ed ispirate direttamente all’atelier ‘Chiarugi’, che ancora rimanda i fotogrammi di ambienti vissuti sul limite del reale, dove il bianco grigiastro delle scale, le finestre alte a griglia, gli ampi soffitti, la luce transica e fievole, narrano di luoghi di sofferenza, ma dalle forti valenze umanitarie.

Nel segno reiterato e ritmico che costruisce il suo significato attraverso lo spostamento esistenziale del suo spazio o nelle presenze informi che tingono le strutture interne di finestre modulari con la forza della sublimata testimonianza di una sofferenza vissuta, sedimentata ed incancellabile, si riscopre il movimento eterno dell’animo umano, a tratti ironico, a tratti violento, di perfezione geometrizzante o di emotività immediata e istintuale, tribale e arcaica, o nordica e asettica, ma sempre nella rappresentazione spettacolare e narrante della comprensione partecipe alla più profonda e testimoniata traccia di una umana e forse ancora riscattabile, sull’altalena paradossale di una distruzione originaria “che costruisce”, ragione ultima di esistenza.


Testo di Elena Capone















giovedì, gennaio 06, 2011

sabato, gennaio 01, 2011